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Affrontare l’onda di violenza: il contributo di INAIL e Careggi a tutela dei lavoratori e delle lavoratrici della salute

Nel triennio 2020-2022 i casi di aggressione ai danni del personale sanitario accertati da INAIL sono stati 5.939, con un trend in continua crescita nell’arco dei tre anni.

Questo equivale a dire che il 50% dei 4.000 casi di violenza registrati ogni anno nei luoghi di lavoro riguarda operatori sanitari delle strutture pubbliche, e questo senza considerare i medici di medicina generale, la sanità privata e le tantissime aggressioni mai denunciate. Per provare a dare una risposta efficace a questo preoccupante fenomeno INAIL, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, ha deciso di organizzare per il 7 e l’8 maggio scorsi un corso di formazione rivolto proprio ai medici del lavoro, per riflettere insieme sulle possibili soluzioni da percorrere per tentare di salvaguardare una categoria di lavoratori ormai allo stremo.

Uno sguardo sul panorama attuale

Lavorare nel campo della sanità, soprattutto se nell’emergenza urgenza o nei reparti di psichiatria, è sempre stato associato a fattori di rischio fisici ed emotivi, ma mai come negli ultimi anni avevamo assistito a un dilagare così ampio di aggressioni. Stando a quanto riportato da INAIL – e confermato dalla sanità toscana – le professioni più a rischio sembrano essere quelli dell’infermiere e del fisioterapista (più di un terzo delle denunce totali), seguite dagli operatori socio sanitari (circa il 30%) e dalle professioni assistenziali, con oltre il 16% di casi riconosciuti. I numeri degli episodi registrati ai danni dei medici, sembrano attestarsi intorno a un 3% del totale. Parlando della tipologia di aggressione possiamo invece dire che – sempre stando a quanto riportato da INAIL – la maggior parte degli episodi denunciati riguarda minacce verbali, intimidazioni e molestie, fino ad arrivare a vere e proprie aggressioni violente, con prognosi che si aggirano mediamente intorno ai 22 giorni e menomazioni valutate fino al 5%. Tra i casi più gravi è invece doveroso ricordare quanto accaduto a Pisa alla psichiatra Barbara Capovani nell’aprile del 2023, uccisa da un suo paziente appena uscita da lavoro. Tempi di attesa, contesto socio-economico, dipendenza da sostanze e mancanza di fiducia verso le istituzioni sembrano essere invece tra le cause scatenanti, sintomo di un crescente disagio sociale a cui sarebbe impossibile porre rimedio agendo unicamente sull’organizzazione aziendale.

Ancora una volta un caso di genere?

A mettere ancora più preoccupazione su un dato già di per sé allarmante è la netta distinzione sul genere delle persone colpite: più del 72% dei casi riconosciuti ha come vittima una donna, solitamente di età compresa tra i 50 e i 60 anni.

Un altro tassello che si aggiunge a un contesto sociale in cui la differenza di genere, soprattutto in relazione agli episodi di violenza, continua ad essere uno dei fattori di rischio più evidenti. Nell’ospedale di Careggi questi numeri trovano un’ulteriore conferma nel preoccupante aumento di aggressioni registrate nel reparto di ginecologia e ostetricia, all’interno del quale, inevitabilmente, le figure più colpite sono ostetriche e infermiere.

Prevenire e proteggere: alcune delle strategie proposte durante gli incontri

Per tentare di porre un argine a un fenomeno sociale così complesso è fondamentale che i diversi soggetti che concorrono all’organizzazione del servizio sanitario collaborino e agiscano in maniera sistemica sui diversi aspetti che lo influenzano.

Al centro della discussione portata sul tavolo durante le due giornate formative il tema centrale era proprio questo: trovare e condividere le possibili strategie da mettere in campo per tutelare gli operatori sanitari, a tutti i livelli possibili.

Investire sulla formazione del personale, in primis, contribuirebbe a dare loro gli strumenti necessari per riconoscere in anticipo i segnali di un’aggressione, scongiurabile con specifiche tecniche di gestione dei conflitti e di de-escalation.

In tema di sicurezza l’obiettivo auspicato è invece quello di aumentare i presidi delle forze di polizia all’interno delle strutture sanitarie, insieme all’adozione di specifici protocolli operativi per garantire interventi tempestivi.

Dal punto di vista legale e assicurativo, invece, già la legge 113/2020 aveva inasprito le pene previste nei casi di aggressione ai danni del personale sanitario, mentre risale a poco tempo fa l’introduzione della procedura d’ufficio nei casi di lesione personale. Sempre nel 2020 il Ministero della Salute ha istituito anche l’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni Sanitarie e socio-sanitarie (ONSEPS), con il compito di monitorare il fenomeno e promuovere iniziative volte a garantire la sicurezza dei professionisti.

Conclusioni e prospettive future

Le due giornate di formazione hanno rappresentato senza dubbio un importante passo avanti nell’affrontare il problema, ma resta necessario un impegno collettivo da parte delle istituzioni sanitarie, delle amministrazioni pubbliche e della società nel suo complesso per trovare una soluzione efficace e duratura. In questo contesto la collaborazione con i sindacati resta un punto di partenza imprescindibile per lo sviluppo di misure di tutela nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici della salute, ancora di più in questo contesto.

Ilaria Papini e Lucia Miligi, Fondazione ISPRO

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